A partire dalla fine del Quattrocento la
storiografia favorevole ai Medici ha teso sempre a
presentare il Mugello come luogo d’origine della grande
famiglia. Una terra ove il ‘clan’ mediceo, nei suoi
numerosi rami, aveva concentrato i propri interessi
economici fin dalla metà del Duecento: un primato
territoriale conquistato a scapito delle vecchie
famiglie feudali della zona appenninica, in
significativa coincidenza con la tendenza del Comune
fiorentino a espandersi proprio in quell’area, sino ad
allora dominata dalle potenti consorterie nobiliari che
controllavano il transito dei valichi montani.
La mostra è incentrata non tanto sui caratteri
artistici o economici quanto piuttosto sulla
committenza e sul valore simbolico delle tre dimore
agresti medicee del Trebbio, di Cafaggiolo e di
Pratolino: le prime due, vere e proprie ville-fortezza
che furono variamente possedute dai diversi rami della
famiglia, finendo comunque per ruotare intorno alla
grande figura di Cosimo il Vecchio (1389-1464); la
terza, creazione della volontà di Francesco I
(1541-1587) quale affermazione esasperata dei gusti e
delle fantasie di questo inquieto granduca.
Viene così offerta una rilettura delle radici rurali
medicee mugellane, presentate sia come simbolo
dell’orgogliosa austerità dei costumi e del desiderio
di allontanarsi talvolta dalle lotte politiche
fiorentine caratterizzanti i membri quattrocenteschi
della casata, sia come volontà di intellettualistico,
magnifico isolamento da parte del sofistico figlio del
granduca Cosimo I.
E vi era forse anche un’altra intenzione allusiva
in questo ritorno mediceo alla campagna originaria:
quella di celebrare l’antica origine della famiglia
fatta discendere dalla natura primordiale della valle
mugellana, già da essi miticamente risanata tramite
l’uccisione da parte del loro capostipite Averardo,
“valorosissimo capitano dell’istesso Carlo
Magno”, del leggendario
“Crudel Gigante
Mugello, che di continuo l’infestava e con rubamenti e
assassinamenti”, dalla quale sarebbero derivate le
palle rosse presenti nell’arme gentilizia, ricordo
delle palle di ferro della mazza di Mugello, intrise
del sangue delle vittime, impressesi nello scudo
dell’eroe durante il duello.
Una discesa anche fisica sino alla città di Firenze,
dove ad essere bonificata dalla loro azione politica
sarebbe stata, stavolta, l’intera società degli uomini.
Un discendere da quella pianura circondata da alte
montagne ricche di acque feconde, protettrici sia della
stessa città che di quelle acque si nutre, sia della
stessa civiltà urbana che da quel materno baluardo
agreste risulta come purificata, protetta.